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La crisi del debito pubblico. Cos’è e come l’aumento del debito è collegato alla recessione economica

crisi debito pubblico

La crisi del debito pubblico può essere risolta da una politica monetaria?

Può ripristinare una crescita economica duratura e senza spirali inflazionistiche? Oppure si tratta solo di pie illusioni?

Diciamolo francamente: con i trattati istitutivi sull’euro la sovranità nazionale in materia di politica monetaria è venuta meno e la relativa competenza è stata assegnata alla BCE.

Quest’ultima interviene avendo soprattutto l’obiettivo di contenere il livello d’inflazione, nel rispetto di un’impostazione abbastanza classica della politica monetaria.

Infatti, secondo la prevalente interpretazione della politica monetaria, le emissioni di nuova moneta determinano un rischio di inasprimento dell’inflazione, che sconsigliano di stampare di nuova per rilanciare l’economia o per ripagare il debito pubblico.

La verità sulla crisi del debito pubblico

Se seguiamo alcuni ragionamenti vedrete che la realtà è un po’ diversa, e che non solo la politica monetaria potrebbe ripagare tutto il debito pubblico ma, essere anche essenziale allo sviluppo economico senza spinte inflattive!

Partiamo innanzitutto dal ragionamento originario, secondo il quale creare moneta provoca inflazione. Domandiamoci, quindi, quale sia il valore della moneta.

Nei sistemi in cui la moneta aveva convertibilità aurea il valore era dato dalle riserve auree.

Ovvio che, se ad esempio la base monetaria raddoppiava in un determinato periodo di tempo a parità di riserve auree, la moneta dimezzava il suo valore, esattamente come una torta che invece di suddividere in 10 fette, la suddividi in 20. Se raddoppi le fette, la quantità di torta per ogni fetta sarà la metà.

Altrettanto ovvio che, se invece di raddoppiare solo la base monetaria si raddoppiano anche le riserve auree il valore della moneta rimarrà lo stesso! Per lo stesso principio, raddoppiando le riserve auree a parità di base monetaria, raddoppierà il valore della moneta.

C’è un problema pero! La convertibilità aurea è terminata da un po’ di tempo E allora?

E allora, dopo la fine della convertibilità aurea (gold standard) si è posto il problema di quale sia il valore della moneta.

E a tale quesito, la risposta più o meno condivisa è che la moneta rappresenti il valore del PIL, dell’insieme di prodotti e servizi realizzati in un paese ed ancora attivi e/o reali. La ricchezza complessiva sostituisce, praticamente, le riserve auree o, meglio ancora, lo possiamo semplificare come la variazione del PIL rispetto all’anno precedente

Dal precedente paradigma inizia la concezione inflazionistica della moneta: se si crea nuova base monetaria a parità di ricchezza, si crea inflazione in quanto si crea moneta che eccede la ricchezza complessiva.

Se quindi si incrementa la base monetaria del un 20% (emettiamo il 20% in più di valuta), si tenderà a creare inflazione in misura prossima al 20%.

Tuttavia dobbiamo approfondire tale aspetto, per renderci conto di come stiano realmente le cose.

Per inciso ricordiamo quindi che quando uno stato europeo prima del trattato sull’unione monetaria europea emetteva denaro tramite la banca centrale, lo faceva emettendo in contropartita titoli del debito pubblico e, quindi, era come se si emettesse direttamente certificati del debito.

Aumento del debito pubblico

Seguire questa via significherebbe solo aumentare il debito

Infatti la BCE, nelle sue operazioni di mercato aperto, quando emette nuova base monetaria non lo fa acquisendo titoli del debito di nuova emissione proprio per evitare di collegare la base monetaria all’emissione di nuovo debito pubblico.

La via che si potrebbe ripercorrere è quindi quella di restituire agli stati il potere di emettere moneta ma, senza emettere titoli del debito. Eventualmente potere che potrebbe essere esercitato dalla BCE sulla base delle indicazioni derivanti da autorità nazionali.

Le autorità nazionali demanderebbero alla BCE l’emissione di nuova base monetaria da distribuire ai vari stati membri.

L’inflazione

Ed ecco l’obiezione che dicevamo: e l’inflazione?

Ricordiamo che è soprattutto l’inflazione a spaventare i tedeschi memori del periodo della repubblica di Weimar, e da qui una politica voluta soprattutto dalla Merkel che impone di abbandonare la creazione di nuova base monetaria per creare sviluppo, facendo quindi leva solo sulle politiche fiscali e di bilancio.

La recessione economica

Ma in questo modo si crea la recessione!

La creazione di moneta di nuova emissione a fronte di un PIL stagnante dovrebbe generare inflazione in quanto avremmo una base monetaria maggiore a rappresentare sempre lo stesso livello di PIL.

Ma il ragionamento non si ferma qui. Immaginiamo che si possa creare nuova moneta che verrà immessa nel sistema economico per incrementare il PIL sotto forma di finanziamenti a fondo perduto.

Il finanziamento a fondo perduto rappresenta soldi che, chi li riceve non è tenuto a restituire e, sui quali, neppure è detto debba pagare interessi.

Attività politiche del governo

Cosa potrebbe fare quindi il governo?

Potrebbe stanziare fondi perduti da dare alle imprese e ai soggetti economici. Questi ultimi dovranno obbligatoriamente usare i fondi ricevuti entro una certa data, pena l’obbligo di restituzione.

Se quindi si stanziassero ad esempio 200 miliardi per finanziamenti a fondo perduto, si incrementerebbe necessariamente il PIL di 200 miliardi.

Un pari quantitativo di denaro potrebbe essere stampato come nuova base monetaria per essere devoluto al fondo di ammortamento dei  titoli di stato.

Questo significa che, emettendo nuova base monetaria per 400 miliardi, 200 sarebbero utilizzati per rimborsare i detentori del debito pubblico e 200 milioni sarebbero dati a soggetti economici, che avrebbero l’obbligo di immetterli nel sistema produttivo.

A questo punto, cosa potrebbe succedere?

Consideriamo le 2 possibilità in una situazione di questo genere:

  1. I 200 miliardi ottenuti dai detentori di titoli del debito pubblico potrebbero essere utilizzati tutti per acquisti di prodotti o servizi.
    Ma se sul fronte dell’offerta questa si incrementa di 200 miliardi otteniamo una parità che porta ad un sostanziale equilibrio economico.
  2. Potremmo assistere o ad un parziale utilizzo per acquisti dei 200 miliardi dati a detentori di titoli del debito pubblico, oppure, in estrema ipotesi, a nessun utilizzo.
    In entrambe queste ipotesi, l’offerta di prodotti o servizi supererebbe la domanda e, come sappiamo, questa circostanza lungi dal generare inflazione, semmai tende a contenerla o addirittura a portare ad una rivalutazione del valore della moneta

In altri termini, la tradizionale obiezione che ritiene che la creazione di base monetaria, soprattutto se non correlata a emissioni di titoli del debito, porti necessariamente ad un incremento dell’inflazione è infondata in quanto non tiene conto, di per sé, dell’equilibrio tra offerta e domanda di mercato.

Ma possiamo considerare anche la possibilità di una politica monetaria non correlata ad azioni di sostegno dell’economia, ma solo al rientro dal debito. Questo si può realizzare anche ipotizzando un PIL praticamente stagnante.

Partiamo dal dato fondamentale che l’ammontare del debito pubblico italiano e di circa 2000 miliardi di euro. Ipotizziamo che la base monetaria attuale, in un determinato momento storico, sia pari a 2500 miliardi di euro.

Ipotizziamo di voler stampare nuova moneta per rientrare dal debito in un certo arco di tempo, senza realizzare un incremento dell’inflazione superiore al 3%.

Possiamo farlo? Certamente si!

Ipotizziamo anche che il PIL non cresca nel tempo, cosa che tra l’altroavviene già da quanto esiste l’euro.

Ne consegue che ogni incremento di base monetaria determinerà un valore decrescente della moneta, in misura pari al rapporto tra nuovo ammontare della base monetaria  e vecchio ammontare.

Si tratta di creare base monetaria per rientrare da un debito di 2000 miliardi, ma non intendiamo fare in modo che l’immissione di nuova base monetaria provochi un’incremento dell’inflazione, su base annua, superiore al 3%.

Come primo step, calcoliamo il rapporto percentuale della nuova base monetaria, rispetto a quella precedente, e quindi:

4500/2500, che porta ad un risultato del 180%.

Se volessi suddividere questo incremento, pari quindi ad un incremento dell’80%, per un 3% annuo, avrei solo da fare:

80/3 che porta a 26 e rotti.

Questo significa che, volendo non incrementare l’inflazione oltre un 3% annuo, si potrebbe rientrare da un debito pubblico di 2000 miliardi, con emissione di nuova moneta, in circa 26 anni.

Quanta moneta? Ovviamente: 2000/26, cioè poco più di 75 miliardi annui, il tutto, appunto, senza aumentare imposte o tagliare spese.

Va peraltro notato che la nuova base monetaria incrementerebbe di circa un 3% annuo l’inflazione,  e se non si assistesse ad una ripresa dell’offerta di beni e servizi in termini di offerta macroeconomica, sarebbe almeno in misura pari alla domanda.

Ma, come sappiamo, la nuova domanda tende a stimolare una maggior offerta e quindi, il valore del 3% potrebbe essere più basso se consideriamo un incremento del PIL legato ad una fase di espansione economica.

Certo, questa è una semplificazione, perché dovremmo tener conto di vari fattori, da quelli speculativi ad altri, ma possiamo in linea di massima ritenere che sia possibile prevedere una stima dell’inflazione, centrata sul quantitativo di base monetaria correlato a nuove politiche monetarie, che prescindono dalle attuali limitazioni dettate dai trattati europei.

Non è quindi vero che la politica monetaria porti necessariamente a livelli di inflazione incontrollati, se basata sulla creazione di nuova moneta.

Tutto può essere ricondotto a parametri prestabiliti che consento di coniugare rigore e sviluppo economico, senza alcuna necessità di implementare i dogmi classici di un’impostazione alla Merkel, che risolverebbe a poco a poco la crisi del debito pubblico.

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